venerdì 1 ottobre 2010

CARLO NESTI – Un Uomo Nel Circuito “Paradiso”


Carlo Nesti è un volto noto nel mondo del giornalismo sportivo. La sua voce ci ha fatto compagnia per un folto numero di anni, arricchendo diversi momenti della nostra vita, accompagnando a sua volta la crescita di ognuno di noi. Attraverso la propria fede, l’uomo Carlo Nesti rivive la propria vita e la narra attraverso un libro dal valore inestimabile dal titolo “Il mio circuito si chiama Paradiso”. In un’intervista approfondita, l’uomo Carlo Nesti, ma anche il giornalista ed il professionista, ci aiuta a comprendere meglio il significato che si cela all’interno del suo libro ed alla fine si percepiscono un folto numero d’insegnamenti di vita:

Cosa ha spinto l'uomo ed il professionista Carlo Nesti a scrivere dei libri importanti nei contenuti come appunto "Viaggio di Ritorno", "Il mio psicologo si chiama Gesù" ed "Il mio circuito si chiama Paradiso"?

-Quando hai venti o trenta anni, il "viaggio" della vita è ancora lungo. Ma quando arrivi a quaranta o cinquanta anni, credo sia ragionevole riflettere di più sulla "destinazione finale" di ciascuno di noi. E allora nasce il desiderio di mettere una consonante, la "D", davanti a quella parola, "Io", che è sempre al centro del cammino. "Io" diventa "Dio", e cambia le "lenti" con cui vedere la realtà.

Potresti presentarci questo nuovo lavoro "Il mio circuito si chiama Paradiso"? C'è qualche messaggio particolare vuoi trasmettere con questo libro?

-Si tratta della mia autobiografia. Il messaggio nasce da una metafora: la nostra esistenza si compie su un "circuito", in quanto che il punto di partenza e il punto di arrivo coincidono, e sono costituiti dall'Aldilà, dal Paradiso, da dove veniamo, e dove torneremo. Ricordiamo che siamo solo "stranieri" su questa Terra, perché abbiamo la cittadinanza in Cielo.

Quali sono le differenze principali tra "Il mio circuito si chiama Paradiso" ed i tuoi libri precedenti "Viaggio di Ritorno" ed in particolare "Il mio psicologo si chiama Gesù", che ha riscosso molto successo?

-Quest'ultimo libro completa una sorta di "trilogia". "Viaggio di ritorno", in quanto romanzo, esprime la mia "fantasia" di cristiano. "Il mio psicologo si chiama Gesù", in quanto manuale, esprime la mia "teoria" di cristiano. "Il mio circuito si chiama Paradiso", in quanto autobiografia", esprime la mia "pratica" di cristiano, il diario, suddiviso in decenni, della vita vissuta fino a oggi.

E' forse una domanda banale, ma quanto è importante la fede per un uomo e giornalista di sport del calibro di Carlo Nesti?

-La Fede è il valore più importante e decisivo che esiste dentro di me. Fede significa credere in Dio, e nella salvezza dell'anima, che ci consentirà di superare i confini della vita terrena, e, conseguentemente, della morte. Fede significa, tutti i giorni, nei pensieri e nelle azioni, cercare di avvicinarci il più possibile al Vangelo. E' di conforto sapere che, se sbagliamo, Dio perdona.

Cosa accomuna l'uomo ed il professionista Carlo Nesti ad altri personaggi noti al grande pubblico come Paolo Brosio e Nicola Legrottaglie? Anche loro attraverso dei libri hanno raccontato la propria esperienza di fede.

-Tutti e tre, più o meno nello stesso periodo, ma con modalità diverse, abbiamo sentito accendersi una fiamma nel cuore. E ci è sembrato giusto, davanti al Signore, mettere la nostra popolarità, in un certo settore, grande o piccolo che fosse, al servizio della diffusione della Parola di Gesù. Il Papa ha detto che oggi c'è più bisogno di "testimoni", che di "predicatori".

Come è cambiato lo sport e più nel particolare come è cambiato il calcio dall'inizio della tua carriera ad oggi?

-Sicuramente gli interessi del "business" hanno sovrastato il concetto di "gioco". E' bello lasciarsi andare alla nostalgia, ma non deve essere un sentimento fine a se stesso. Sono contento, in questa chiave, che sia presidente dell'Uefa Platini, custode di valori puri, e sempre alla ricerca di un compromesso fra il "vecchio" e il "nuovo".

Come è invece mutato il mondo del giornalismo dall'inizio del tuo percorso professionale ad oggi?

-La svolta è avvenuta negli anni Ottanta, nella stampa "scritta" con l'avvento di Palumbo Direttore de "La Gazzetta dello Sport, e nella stampa "parlata" con la Terza Rete Rai e le grandi tivù private. Prima era un giornalismo più tecnicistico e moderato, alla portata di pochi. Poi è diventato più dietrologico e sensazionalistico, alla portata di tutti. Pregi e difetti.

Che concetto ha un professionista del calibro di Carlo Nesti di Calciopoli?

-Più o meno lo stesso che si può avere rivisitando Tangentopoli. Quando, in qualsiasi campo, il "così fan tutti" supera la legge, fino a metterla da parte, è sempre l'inizio di una fine. Credo che i club potenti (non solo la Juve), al cospetto di spese sempre più rilevanti, non abbiano più tollerato il rischio di perdere partite e soldi, optando per il sotterfugio.

Le delusioni e le soddisfazioni maturate nel corso degli anni, quanto hanno forgiato l'uomo ed il professionista Carlo Nesti?

-Nessuno sceglierebbe mai le sconfitte, invece delle vittorie, per maturare, ma, con il senno di poi, ti rendi conto che sono solo le sconfitte quelle che ti hanno insegnato qualcosa. Con questo, non voglio certamente affermare che le vittorie siano nocive, perché determinano l'autostima indispensabile per non deprimersi. In sostanza, tutto ha un senso.

Conosci in modo eccellente il calcio torinese, conseguentemente che idea ti sei fatto del nuovo corso della Juventus?

-Si è preferita la "rivoluzione" alle "riforme", e io sono d'accordo, perché c'era poco da salvare, anche dal punto di vista anagrafico. E' troppo presto per dare giudizi, ma voglio avere fiducia, perché stimo Marotta, e sono felice che sia al timone il più appassionato e competente di calcio della famiglia Agnelli. Mi spaventa un po' la difesa: deve migliorare.

Può questa Juventus tornare competitiva sul campo e nello stile come quella di "Boniperti"?

-Nello stile sicuramente sì, perché Calciopoli ha quasi "ucciso" la Juve, graziando altri colpevoli, e l'esperienza è stata talmente agghiacciante da metterla al riparo da qualsiasi nuova tentazione. E poi anche Boniperti si faceva sentire con gli organi federali, e con gli arbitri, solo che il sistema mediatico era molto diverso, e, in certi casi, meno aggressivo.

Quale è il ricordo professionale più bello di Carlo Nesti?

-Direi che essere stato il telecronista dell'Italia Under 21 tre volte campione d'Europa, con Maldini, è stata l'esperienza più gratificante. Ma non posso dimenticare di essere stato l'opinionista di Pizzul in Italia-Brasile, finale dei Mondiali 1994, e di avere vissuto da tifoso, appiccicato alla schiena di Martellini, Italia-Germania Ovest, finale dei Mondiali 1982. Che brividi irripetibili!

Chi è invece lo sportivo del quale Carlo Nesti ha il ricordo migliore?

-Sicuramente Gaetano Scirea, e, badate bene, questo lo pensavo già prima che morisse, e prima di tutte le legittime "beatificazioni". Nel mio ultimo libro l'ho definito il "San Francesco del pallone". Ha lasciato in eredità una lezione di umiltà e equilibrio, che oggi sembra tanto fuori moda, ma che, al di là del tempo e dello spazio, resta, al contrario, sempre di stretta attualità.

Quanto mancano al calcio uomini e sportivi di spessore come Scirea e Facchetti? C'è qualche calciatore in attività che può fungere da esempio come loro?

-Oltre a Scirea e Facchetti, ci sono stati personaggi come Baggio, Zola e Maldini degni di diventare non solo "maestri" di sport, ma anche di vita, per la dedizione e la lealtà che hanno dimostrato. Oggi sono molto contento che allo stesso Baggio, Rivera e Sacchi sia toccato il compito di rilanciare il calcio nostrano. Non potranno fare miracoli da soli, ma, almeno, ci proveranno.

C'è un messaggio che vorresti lasciare ai nostri lettori?

-Ai lettori direi... quando vi capita di pregare, non chiedete tanto ciò che desiderate in quel momento, quanto ciò che è giusto che accada per voi, e che solo Dio può conoscere. Non sempre le nostre ambizioni coincidono con la nostra crescita, ed è giusto non confondere le due esigenze. Spesso si riesce a risalire solo una volta toccato il fondo: fa male subito, ma farà bene dopo.

Intervista a cura di Maurizio Mazzarella

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