Nicola Negro è un giornalista, che se pur impegnato in altre attività lavorative, sfoga la propria passione per il calcio e per il giornalismo stesso, attraverso Ju29ro.com, dove cura la rubrica "The Day After", dedicata alla giornata di campionato della massima serie italiana. "La Juventus del Dottore", è il suo ultimo libro di recente pubblicazione, dove narra la storia della compagine bianconera dall'avvento di Umberto Agnelli come presidente sul finire degli anni cinquanta, arrivando all'attualità, raccontando il raggiungimento della prima stella, collegando il tutto con le vittorie raggiunge con la "triade". Il testo si conclude con la nuova presidenza affidata ad Andrea Agnelli, figlio di "Umberto", che giunge al timone della società giovanissimo proprio come il papà. Una sorta di augurio per il futuro della Juventus. In un'intervista particolarmente approfondita, Nicola Negro ci apre le porte del suo libro, soffermandosi su diversi temi particolarmente attuali di vibrante importanza:
Allora Nicola, inizio col porti i miei più sentiti complimenti per questo tuo libro “La Juventus del Dottore”. Potresti presentarlo ai nostri lettori?
-E’ una storia vera, tanto avvincente che sembra quasi un romanzo. Il 9 giugno 1957 si gioca la penultima giornata del campionato di calcio di serie A. In cartello c’è Juventus - Triestina. Una sorta di spareggio salvezza perché ai bianconeri serve la vittoria per scongiurare il pericolo di retrocedere in serie B. Al termine di una partita rocambolesca Boniperti e compagni vincono 4 a 3 e raggiungono la salvezza matematica. Sono annate strane in casa Juventus perché la società sta attraversando una crisi di risultati che desta serie preoccupazioni riguardo al futuro. Sono anni in cui si vocifera anche di una possibile fusione con il Torino che crea scompiglio e malumore nella tifoseria bianconera. E’ a questo punto che si impone la svolta con Umberto Agnelli “il Dottore” che rompe gli indugi e assume la presidenza della società. Arrivano Charles e Sivori e sarà un ciclo di vittorie raccolte nell’irripetibile atmosfera di quegli anni di boom economico, di un’Italia che si ammala di calcio riempiendo gli stadi e aprendosi agli anni della Dolce Vita. Dal 1957 al 1961 sotto la guida di un presidente ragazzino, arriveranno tre Scudetti e due Coppe Italia a premiare una delle Juventus più forti e suggestive di tutti i tempi. E’ una storia che nel libro è legata a quella di un’altra Juventus, quella della Triade, perché anch’essa voluta fortissimamente da Umberto Agnelli oltre trent’anni dopo. Arriveranno altri successi fino all’avvento di Calciopoli che ridurrà in cenere una squadra fra le più forti di oltre un secolo di storia bianconera.
Quale percorso hai effettuato per arrivare a questo libro? Da dove è nata l’idea cardine?
-L’idea iniziale era quella di raccontare la Juventus della prima stella, quella che nella stagione 1957-58 vinse il decimo scudetto. La figura centrale era già quella di Umberto Agnelli che, a soli 23 anni, non sbaglia una mossa nel rinnovare una società in crisi, puntando sull’arrivo di Charles e Sivori che si riveleranno due fra i più azzeccati innesti della storia del calcio italiano. Poi ho raccolto l’invito dell’amico ju29ro Salvatore Cozzolino, autore della prefazione, e ho allargato il periodo di riferimento a tutta la presidenza di Umberto Agnelli, durata dal 1956 al 1962, unendola, in modo significativo, alla Juventus della Triade, visto che le scelte strategiche di quella Juventus sono state volute proprio dal Dottore.
Quali sono le differenze principali tra la Juventus che viene raccontata nel libro e quella attuale, sia da un punto di vista sportivo che dirigenziale?
-Il punto di contatto sta nell’eredità di una Juventus proveniente da un periodo di crisi. Quest’anno, come nel lontano 1956, c’è stata una vera e propria rivoluzione societaria. Allora si lavorò su un nucleo di giocatori giovani che si stava consolidando. Il secondo anno arrivarono i due fuoriclasse. Quest’anno in un certo senso la situazione è ancora più complicata, perché in pochi mesi si è assistito al doveroso rinnovamento della struttura societaria, l’arrivo di un nuovo allenatore e di ben metà del parco giocatori. In un certo senso è come se la Juventus post Calciopoli ricominciasse da qui.
Quanto è profonda la ferita lasciata da Calciopoli all’interno della Juventus secondo te?
-La ferita è profonda e sanguina sempre di più con il passare del tempo e l’emergere di un quadro assai diverso da quello che ci hanno fatto credere nell'estate di quattro anni. Si tratta di una ferita impossibile da rimarginare perché la consapevolezza è quella di aver subito una condanna sportiva esageratamente ingiusta per quelli che, per quanto emerso, sono dei peccati veniali. E’ inquietante che siano state considerate dagli inquirenti solo poche decine di telefonate di fronte alle oltre 170.000 il cui ascolto sta definendo un quadro di riferimento molto diverso da quello parziale emerso nell’estate 2006. La Juve finì retrocessa in serie B e spogliata di due scudetti con il conseguente depauperamento del parco giocatori; altre società, di cui solo ora sono emerse telefonate almeno altrettanto gravi, ne sono uscite cucendosi al petto “lo scudetto dell’onestà”, sfruttando l’eliminazione per via guidiziaria della principale concorrente, per aprire un ciclo di altri quattro scudetti consecutivi vinti, con l’apice finale della vittoria in Champions League. La realtà è che con Calciopoli la storia del calcio italiano ha deviato rispetto al suo corso naturale e tutti sappiamo a vantaggio di chi.
Secondo te il “Dottore”, come avrebbe affrontato tutti gli strascichi lasciati da Calciopoli? Come avrebbe affrontato soprattutto la retrocessione in serie B e la conseguente rinascita?
-Ma con il Dottore la Juventus non sarebbe mai finita in B perché si sarebbe difesa contrariamente a quanto successo nell’estate del 2006 e, se condannata dal processo sportivo, avrebbe certamente ricorso al TAR. Come tanti altri tifosi bianconeri ho vissuto quella fase come un regolamento di conti tutto interno agli eredi del Dottore e dell’Avvocato. La Juve umbertiana fu spazzata via dagli eredi dell’Avvocato che, consigliati da Montezemolo in testa, non vedeva l’ora di sbarazzarsi di due dirigenti scomodi e vincenti come Moggi e Giraudo. E' ben noto che proprio l’interesse di Montezemolo (insieme agli anziani consiglieri del giovane erede dell'Avvocato) fu decisivo per far desistere la nuova fragile dirigenza bianconera del post calciopoli dal ricorrere al TAR. A questo proposito arrivò nientemeno che il pubblico ringraziamento del presidente Fifa Joseph Blatter.
E come avrebbe affrontato tutta la “dialettica” seguita con l’Inter e soprattutto col presidente “Moratti”?
-Personalmente sono convinto che Umberto Agnelli avrebbe difeso strenuamente la sua creatura e che la storia sarebbe proseguita così come si era snodata fino a quel momento. Non ci sarebbe stato bisogno di replicare a lamentele e piagnistei vari, la Juventus ha sempre parlato attraverso le vittorie conseguite sul campo.
A questo punto la domanda nasce spontanea. Secondo Andrea Agnelli è un degno erede del “Dottore”?
-Io ho grande fiducia in Andrea Agnelli e spero vivamente possa ripercorrere le orme paterne e, perché no, fare anche meglio in ossequi a una massima spesso citata dal nonno Edoardo ("una cosa fatta bene si può sempre fare meglio". Di certo si tratta di un presidente innamorato della sua Juve che ha dimostrato da subito di avere le idee chiarissime. Dal primo incontro con la stampa Andrea Agnelli ha detto di voler portare al di fuori dell’orbita Exor (azionista di maggioranza) la Juventus e di farne una società del tutto autonoma. Quindi ha ripescato il progetto che suo padre aveva in comune con Giraudo, ovvero quello di fare della Juventus una società con interessi anche in altri settori oltre che quello sportivo per trarre risorse dall’utilizzo del marchio e investire i proventi nel progetto sportivo. Idee chiarissime appunto.
Facendo anche un confronto con la Juventus raccontata nel libro, un dirigente come Marotta potrà scrivere pagine importanti per la storia bianconera?
-Marotta ha la fiducia di tutto l’ambiente e l’augurio è proprio quello che queste pagine importanti per la storia bianconera possa scriverle davvero. C’è un modo solo per farlo: tornare a vincere!
Che idea dai anche della famosa “Triade” composta da Moggi, Bettega e Giraudo e del periodo con Cobolli Gigli come presidente?
-Mi sembra un paragone impossibile e semmai impietoso. La Triade metteva insieme il massimo a livello di competenza nel gestire una società di calcio. Giraudo, gestiva la società, Moggi si occupava di calcio, e Bettega era una sorta di Ministro degli Esteri. Dodici anni di successi in cui sono state messe in campo squadre in grado di competere ai massimi livelli senza attingere alle risorse della proprietà. Per la fase post Calciopoli mi sembra azzeccato il neologismo Newventus per quello che è stata questa società dal 2006 al 2010. Una dirigenza rivelatasi profondamente non all’altezza della situazione, per giunta animata dall’imperdonabile volontà di disconoscere chi, nella gestione precedente, aveva contribuito a raggiungere tanti successi.
Quale è il momento della storia bianconera che ricordi con più piacere e quello che invece preferiresti cancellare completamente dalla mente?
-Di momenti di gioia intensa ce ne sono stati tanti. Ricordo per esempio il gol segnato con la squadra in inferiorità numerica da Zalayeta a Barcellona nei tempi supplementari che ci valse la qualificazione alla semifinale di Champions nel 2003 e poi la semifinale di ritorno a Torino contro il Real Madrid vinta 3-1 con il rigore parato da Buffon su Figo, anche se il ricordo più bello in assoluto è legato allo scudetto conquistato il 2 maggio 2002 superando l’Inter all’ultima giornata. C'ero anche io a Udine. Le delusioni più cocenti sono state le troppe finali di Champions League perse, mentre la notte dell’Heysel rimane un incubo che però ha contibuito a legarmi indissolubilmente alla Juventus e al suo tifo fatto di tanta gente che a costo di grandi sacrifici raggiunge lo stadio ogni settimana partendo da ogni parte d’Italia.
Chi è secondo te il calciatore simbolo della Juventus del “Dottore”? Chi invece sarà il calciatore simbolo del futuro?
-I giocatori simbolo sono stati tre, non per nulla chiamati “i tre Re” da Bruno Bernard, firma storica de La Stampa. John Charles, una potenza della natura, Omar Sivori, genio e sregolatezza, Giampiero Boniperti, il cervello di quella squadra. Il simbolo del futuro? Mi auguro sia Chiellini, una ragazzo intelligente, uno spirito indomito come dev’esserlo chi, nei momenti difficili, ha il dovere di guidare il resto del gruppo verso il raggiungimento di obiettivi importanti.
Quale concetto hai del calcio odierno? Quali sono le differenza tra il calcio di oggi e quello del passato?
-Amo il calcio che seguo costantemente. Guardo partite del calcio inglese, tedesco, spagnolo e naturalmente quelle della Juventus e del calcio italiano. Non mi piace tutto quello che c’è intorno alle partite al giorno d’oggi. In particolare trasmissioni televisive che hanno il solo scopo di attizzare polemiche senza parlare di calcio. Provo rabbia poi vedendo gli stadi italiani, vecchi, brutti e mezzi vuoti, mentre altrove gli stadi sono fatti apposta per il calcio. Una vergogna nazionale che ci relega sempre più in basso nel calcio che conta insieme all’incapacità di generare reddito per le società che non siano i proventi dei diritti televisivi. Sembra che in Italia conti solo questo...
Può esserci ancora in questo sport spazio per la passione e per i sentimenti? Oppure tutto questo si è perso nel tempo?
-Il calcio non è solo quello ai massimi livelli. Il calcio italiano è un movimento di milioni di persone che scendono in campo ogni fine settimana in tutte le categorie, dalla terza categoria alla serie A senza ovviamente trascurare il calcio giovanile. Tutto questo è mosso da passione allo stato puro. Il dovere di chi sta ai vertici dovrebbe essere quello di dare esempi, costituire dei modelli positivi da emulare. Purtroppo invece giornalisticamente spesso fanno notizia i cattivi esempi. Ci vorrebbe una consapevolezza comune per tutti gli attori in campo. L’esigenza è quella di dare messaggi positivi.
Quali sono i tuoi programmi futuri? Dobbiamo aspettarci la pubblicazione di qualche altro tuo nuovo libro a breve?
-Mi piacerebbe davvero, ma è difficile trovare tempo, buone idee e poi mettersi a cercare l’editore giusto che ti dia fiducia. Continuo a fare la mia parte collaborando con la redazione di ju29ro.com lasciando la porta aperta a nuovi progetti che possano farmi rivivere le emozioni provate scrivendo “La Juventus del Dottore”.
Potresti lasciare un messaggio ai nostri lettori?
-Il messaggio è di guardare al bello del calcio, al suo gioco, senza cadere nelle trappole disseminate da tutto quello che ruota intorno al calcio odierno. Anche riscoprire pezzi di storia del calcio è un esercizio che può riaccendere passioni sopite o magari addirittura spente. E’ quello che mi è successo rileggendo la storia della Juventus, riscoprendone le immagini, sbirciando gli aneddoti. Ne è venuto fuori un libro come “La Juventus del Dottore”. L’ho scritto con Amore e Passione, quegli stessi sentimenti che legava alla Juventus “il Dottore”, Umberto Agnelli”, con un filo che oggi è arrivato fino a suo figlio, Andrea Agnelli. E la storia continua...
Intervista di Maurizio Mazzarella
Allora Nicola, inizio col porti i miei più sentiti complimenti per questo tuo libro “La Juventus del Dottore”. Potresti presentarlo ai nostri lettori?
-E’ una storia vera, tanto avvincente che sembra quasi un romanzo. Il 9 giugno 1957 si gioca la penultima giornata del campionato di calcio di serie A. In cartello c’è Juventus - Triestina. Una sorta di spareggio salvezza perché ai bianconeri serve la vittoria per scongiurare il pericolo di retrocedere in serie B. Al termine di una partita rocambolesca Boniperti e compagni vincono 4 a 3 e raggiungono la salvezza matematica. Sono annate strane in casa Juventus perché la società sta attraversando una crisi di risultati che desta serie preoccupazioni riguardo al futuro. Sono anni in cui si vocifera anche di una possibile fusione con il Torino che crea scompiglio e malumore nella tifoseria bianconera. E’ a questo punto che si impone la svolta con Umberto Agnelli “il Dottore” che rompe gli indugi e assume la presidenza della società. Arrivano Charles e Sivori e sarà un ciclo di vittorie raccolte nell’irripetibile atmosfera di quegli anni di boom economico, di un’Italia che si ammala di calcio riempiendo gli stadi e aprendosi agli anni della Dolce Vita. Dal 1957 al 1961 sotto la guida di un presidente ragazzino, arriveranno tre Scudetti e due Coppe Italia a premiare una delle Juventus più forti e suggestive di tutti i tempi. E’ una storia che nel libro è legata a quella di un’altra Juventus, quella della Triade, perché anch’essa voluta fortissimamente da Umberto Agnelli oltre trent’anni dopo. Arriveranno altri successi fino all’avvento di Calciopoli che ridurrà in cenere una squadra fra le più forti di oltre un secolo di storia bianconera.
Quale percorso hai effettuato per arrivare a questo libro? Da dove è nata l’idea cardine?
-L’idea iniziale era quella di raccontare la Juventus della prima stella, quella che nella stagione 1957-58 vinse il decimo scudetto. La figura centrale era già quella di Umberto Agnelli che, a soli 23 anni, non sbaglia una mossa nel rinnovare una società in crisi, puntando sull’arrivo di Charles e Sivori che si riveleranno due fra i più azzeccati innesti della storia del calcio italiano. Poi ho raccolto l’invito dell’amico ju29ro Salvatore Cozzolino, autore della prefazione, e ho allargato il periodo di riferimento a tutta la presidenza di Umberto Agnelli, durata dal 1956 al 1962, unendola, in modo significativo, alla Juventus della Triade, visto che le scelte strategiche di quella Juventus sono state volute proprio dal Dottore.
Quali sono le differenze principali tra la Juventus che viene raccontata nel libro e quella attuale, sia da un punto di vista sportivo che dirigenziale?
-Il punto di contatto sta nell’eredità di una Juventus proveniente da un periodo di crisi. Quest’anno, come nel lontano 1956, c’è stata una vera e propria rivoluzione societaria. Allora si lavorò su un nucleo di giocatori giovani che si stava consolidando. Il secondo anno arrivarono i due fuoriclasse. Quest’anno in un certo senso la situazione è ancora più complicata, perché in pochi mesi si è assistito al doveroso rinnovamento della struttura societaria, l’arrivo di un nuovo allenatore e di ben metà del parco giocatori. In un certo senso è come se la Juventus post Calciopoli ricominciasse da qui.
Quanto è profonda la ferita lasciata da Calciopoli all’interno della Juventus secondo te?
-La ferita è profonda e sanguina sempre di più con il passare del tempo e l’emergere di un quadro assai diverso da quello che ci hanno fatto credere nell'estate di quattro anni. Si tratta di una ferita impossibile da rimarginare perché la consapevolezza è quella di aver subito una condanna sportiva esageratamente ingiusta per quelli che, per quanto emerso, sono dei peccati veniali. E’ inquietante che siano state considerate dagli inquirenti solo poche decine di telefonate di fronte alle oltre 170.000 il cui ascolto sta definendo un quadro di riferimento molto diverso da quello parziale emerso nell’estate 2006. La Juve finì retrocessa in serie B e spogliata di due scudetti con il conseguente depauperamento del parco giocatori; altre società, di cui solo ora sono emerse telefonate almeno altrettanto gravi, ne sono uscite cucendosi al petto “lo scudetto dell’onestà”, sfruttando l’eliminazione per via guidiziaria della principale concorrente, per aprire un ciclo di altri quattro scudetti consecutivi vinti, con l’apice finale della vittoria in Champions League. La realtà è che con Calciopoli la storia del calcio italiano ha deviato rispetto al suo corso naturale e tutti sappiamo a vantaggio di chi.
Secondo te il “Dottore”, come avrebbe affrontato tutti gli strascichi lasciati da Calciopoli? Come avrebbe affrontato soprattutto la retrocessione in serie B e la conseguente rinascita?
-Ma con il Dottore la Juventus non sarebbe mai finita in B perché si sarebbe difesa contrariamente a quanto successo nell’estate del 2006 e, se condannata dal processo sportivo, avrebbe certamente ricorso al TAR. Come tanti altri tifosi bianconeri ho vissuto quella fase come un regolamento di conti tutto interno agli eredi del Dottore e dell’Avvocato. La Juve umbertiana fu spazzata via dagli eredi dell’Avvocato che, consigliati da Montezemolo in testa, non vedeva l’ora di sbarazzarsi di due dirigenti scomodi e vincenti come Moggi e Giraudo. E' ben noto che proprio l’interesse di Montezemolo (insieme agli anziani consiglieri del giovane erede dell'Avvocato) fu decisivo per far desistere la nuova fragile dirigenza bianconera del post calciopoli dal ricorrere al TAR. A questo proposito arrivò nientemeno che il pubblico ringraziamento del presidente Fifa Joseph Blatter.
E come avrebbe affrontato tutta la “dialettica” seguita con l’Inter e soprattutto col presidente “Moratti”?
-Personalmente sono convinto che Umberto Agnelli avrebbe difeso strenuamente la sua creatura e che la storia sarebbe proseguita così come si era snodata fino a quel momento. Non ci sarebbe stato bisogno di replicare a lamentele e piagnistei vari, la Juventus ha sempre parlato attraverso le vittorie conseguite sul campo.
A questo punto la domanda nasce spontanea. Secondo Andrea Agnelli è un degno erede del “Dottore”?
-Io ho grande fiducia in Andrea Agnelli e spero vivamente possa ripercorrere le orme paterne e, perché no, fare anche meglio in ossequi a una massima spesso citata dal nonno Edoardo ("una cosa fatta bene si può sempre fare meglio". Di certo si tratta di un presidente innamorato della sua Juve che ha dimostrato da subito di avere le idee chiarissime. Dal primo incontro con la stampa Andrea Agnelli ha detto di voler portare al di fuori dell’orbita Exor (azionista di maggioranza) la Juventus e di farne una società del tutto autonoma. Quindi ha ripescato il progetto che suo padre aveva in comune con Giraudo, ovvero quello di fare della Juventus una società con interessi anche in altri settori oltre che quello sportivo per trarre risorse dall’utilizzo del marchio e investire i proventi nel progetto sportivo. Idee chiarissime appunto.
Facendo anche un confronto con la Juventus raccontata nel libro, un dirigente come Marotta potrà scrivere pagine importanti per la storia bianconera?
-Marotta ha la fiducia di tutto l’ambiente e l’augurio è proprio quello che queste pagine importanti per la storia bianconera possa scriverle davvero. C’è un modo solo per farlo: tornare a vincere!
Che idea dai anche della famosa “Triade” composta da Moggi, Bettega e Giraudo e del periodo con Cobolli Gigli come presidente?
-Mi sembra un paragone impossibile e semmai impietoso. La Triade metteva insieme il massimo a livello di competenza nel gestire una società di calcio. Giraudo, gestiva la società, Moggi si occupava di calcio, e Bettega era una sorta di Ministro degli Esteri. Dodici anni di successi in cui sono state messe in campo squadre in grado di competere ai massimi livelli senza attingere alle risorse della proprietà. Per la fase post Calciopoli mi sembra azzeccato il neologismo Newventus per quello che è stata questa società dal 2006 al 2010. Una dirigenza rivelatasi profondamente non all’altezza della situazione, per giunta animata dall’imperdonabile volontà di disconoscere chi, nella gestione precedente, aveva contribuito a raggiungere tanti successi.
Quale è il momento della storia bianconera che ricordi con più piacere e quello che invece preferiresti cancellare completamente dalla mente?
-Di momenti di gioia intensa ce ne sono stati tanti. Ricordo per esempio il gol segnato con la squadra in inferiorità numerica da Zalayeta a Barcellona nei tempi supplementari che ci valse la qualificazione alla semifinale di Champions nel 2003 e poi la semifinale di ritorno a Torino contro il Real Madrid vinta 3-1 con il rigore parato da Buffon su Figo, anche se il ricordo più bello in assoluto è legato allo scudetto conquistato il 2 maggio 2002 superando l’Inter all’ultima giornata. C'ero anche io a Udine. Le delusioni più cocenti sono state le troppe finali di Champions League perse, mentre la notte dell’Heysel rimane un incubo che però ha contibuito a legarmi indissolubilmente alla Juventus e al suo tifo fatto di tanta gente che a costo di grandi sacrifici raggiunge lo stadio ogni settimana partendo da ogni parte d’Italia.
Chi è secondo te il calciatore simbolo della Juventus del “Dottore”? Chi invece sarà il calciatore simbolo del futuro?
-I giocatori simbolo sono stati tre, non per nulla chiamati “i tre Re” da Bruno Bernard, firma storica de La Stampa. John Charles, una potenza della natura, Omar Sivori, genio e sregolatezza, Giampiero Boniperti, il cervello di quella squadra. Il simbolo del futuro? Mi auguro sia Chiellini, una ragazzo intelligente, uno spirito indomito come dev’esserlo chi, nei momenti difficili, ha il dovere di guidare il resto del gruppo verso il raggiungimento di obiettivi importanti.
Quale concetto hai del calcio odierno? Quali sono le differenza tra il calcio di oggi e quello del passato?
-Amo il calcio che seguo costantemente. Guardo partite del calcio inglese, tedesco, spagnolo e naturalmente quelle della Juventus e del calcio italiano. Non mi piace tutto quello che c’è intorno alle partite al giorno d’oggi. In particolare trasmissioni televisive che hanno il solo scopo di attizzare polemiche senza parlare di calcio. Provo rabbia poi vedendo gli stadi italiani, vecchi, brutti e mezzi vuoti, mentre altrove gli stadi sono fatti apposta per il calcio. Una vergogna nazionale che ci relega sempre più in basso nel calcio che conta insieme all’incapacità di generare reddito per le società che non siano i proventi dei diritti televisivi. Sembra che in Italia conti solo questo...
Può esserci ancora in questo sport spazio per la passione e per i sentimenti? Oppure tutto questo si è perso nel tempo?
-Il calcio non è solo quello ai massimi livelli. Il calcio italiano è un movimento di milioni di persone che scendono in campo ogni fine settimana in tutte le categorie, dalla terza categoria alla serie A senza ovviamente trascurare il calcio giovanile. Tutto questo è mosso da passione allo stato puro. Il dovere di chi sta ai vertici dovrebbe essere quello di dare esempi, costituire dei modelli positivi da emulare. Purtroppo invece giornalisticamente spesso fanno notizia i cattivi esempi. Ci vorrebbe una consapevolezza comune per tutti gli attori in campo. L’esigenza è quella di dare messaggi positivi.
Quali sono i tuoi programmi futuri? Dobbiamo aspettarci la pubblicazione di qualche altro tuo nuovo libro a breve?
-Mi piacerebbe davvero, ma è difficile trovare tempo, buone idee e poi mettersi a cercare l’editore giusto che ti dia fiducia. Continuo a fare la mia parte collaborando con la redazione di ju29ro.com lasciando la porta aperta a nuovi progetti che possano farmi rivivere le emozioni provate scrivendo “La Juventus del Dottore”.
Potresti lasciare un messaggio ai nostri lettori?
-Il messaggio è di guardare al bello del calcio, al suo gioco, senza cadere nelle trappole disseminate da tutto quello che ruota intorno al calcio odierno. Anche riscoprire pezzi di storia del calcio è un esercizio che può riaccendere passioni sopite o magari addirittura spente. E’ quello che mi è successo rileggendo la storia della Juventus, riscoprendone le immagini, sbirciando gli aneddoti. Ne è venuto fuori un libro come “La Juventus del Dottore”. L’ho scritto con Amore e Passione, quegli stessi sentimenti che legava alla Juventus “il Dottore”, Umberto Agnelli”, con un filo che oggi è arrivato fino a suo figlio, Andrea Agnelli. E la storia continua...
Intervista di Maurizio Mazzarella
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