martedì 19 ottobre 2010

GABRIELLA GREISON - Eccoci alla Fermata "Highbury"


Gabriella Greison è una giornalista della Gazzetta dello Sport con la passione per il calcio. "Prossima Fermata Highbury" (edito per "Scritturapura"), è il suo ultimo libro. Un insieme di ventidue racconti, scritti in corrispondenza delle fermate della metropolitana di Londra, che ci consentono di apprezzare in modo marcato la cultura del calcio inglese, portandoci a riflettere su quali sono le differenze principali con il nostro calcio, ma soprattutto con il nostro modo di viverlo:

Inizio col porti i miei più sentiti complimenti per il tuo ultimo libro. Potresti presentare "Prossima Fermata Highbury" ai nostri lettori?

-E' una raccolta di 22 racconti, scritti in corrispondenza delle fermate della metropolitana londinese che si chiamano come lo stadio. Sono le fermate dei tifosi.

Quale percorso hai effettuato per arrivare a questo libro? Da dove è nata l’idea cardine?

-La voce della metropolitana che dice "Prossima fermata Highbury", che poi in realtà è "next stop Highbury", mi ha sempre affascinato. Pensa se dai noi ci fosse una fermata che viene annunciata "Prossima fermata Delle Alpi" o "Prossima fermata San Paolo"...i tifosi impazzirebbero, verrebbero caricati a mille. L'idea mi è venuta proprio stando a Londra, e guardando la gente, in metro, e subito fuori. Facendo le strade che portano dalle fermate agli stadi: ho annusato, ho guardato, ho scoltato. E ho capito, come dice anche Gianni Mura nella prefazione, che non è vero che in Inghilterra il calcio esiste solo nel week end, e dei lunedì o dei venerdì se ne frega. Da loro, come da noi, la passione, la voglia di parlarne, esiste sempre.

Quali sono le differenze culturali secondo te tra il calcio inglese e quello italiano?

-Nel libro, in ogni racconto, incontro delle persone, lungo queste 22 fermate di metropolitana. Alcune reali, come Gianluca Vialli, Gianfranco Zola, Damiano Tommasi, o il magazziniere o il pendolare romagnolo; altre, immaginarie. A Londra, scrivere queste storie è stato facile: con loro che mi aiutavano, che capivano il significato di un libro così. In Italia, no, non sarebbe mai possibile. A parte che non esiste una città con 22 stadi e relative fermate di metro, e poi perchè i calciatori o gli allenatori mica si muovono così liberamente per le strade.

Ritieni che è anche nel tipo di strutture il segreto del successo del calcio inglese?

-Soprattuto. Ma, anche, perchè il fenomeno degli hooligans è stato arginato, delimitato, confinato a pochi. Noi, siamo ancora alle prese con la tessera del tifoso, che altro non è che un modo per demotivare la gente per bene ad andare allo stadio. In un paese normale, come l'Inghilterra, una polizia normale ha già tutti gli strumenti per identificare chi delinque e, semmai, si schedano i cattivi e non i buoni. Qui in Italia, i buoni allo stadio ci vanno sempre meno, si ostinano nel sentirsi cittadini e non sudditi, e i cattivi continuano ad andarci: daspo più daspo meno. Sono bastate poche giornate di campionato per capirlo. Con l´eccezione di Maroni, che la vorrebbe su scala europea questa tessera del tifoso, che nessuno ama.

C'è un messaggio particolare che vuoi trasmettere attraverso "Prossima Fermata Highbury"?

-Quello del calcio come pretesto per parlare d'altro. La poesia, la passione, la gioia di una partita di pallone, a queste cose sono legata, quando scrivo libri sul calcio. Il calcio è un pretesto pure raccontare di altri libri, di film, di storie speciali, che la televisione e gli almanacchi non rimandano. A me poco affascinano le statistiche, i tabellini, o le storie dei calciatori con le veline.

Quale concetto hai del calcio odierno? Quali sono le differenza tra il calcio di oggi e quello del passato?

-Come detto, sono legata al calcio come passione, come sentimento che fa muovere le masse. Un pò alla Nick Hornby, ma anche mi piace studiarlo come fenomeno sociale, come ha fatto Desmond Morris nella "Tribù del calcio". Sono attratta dalla storia del calcio. Mi piace andare allo stadio, da matti, per lavoro: seguo sia la Roma che la Lazio per la Gazzetta dello Sport: ed è il momento della settimana, quando entro all'Olimpico, che arrivano mille stimoli, tanti guizzi, cento idee....il calcio, le partite, i gesti tecnici ispirano libri, e fanno viaggiare la fantasia, oltre che la memoria.

Può esserci ancora in questo sport spazio per la passione e per i sentimenti? Oppure tutto questo si è perso nel tempo?

-Ma certo. Io sono di quelli che non perdono niente nel tempo, che si ricordano tutto. Sarà che ho una laurea in fisica nucleare, e quindi sono legata ai numeri e ai dati concreti, e la mia memoria è quasi infallibile....

Nasce quindi spontanea una domanda: per quale squadra inglese Gabiella Greison fa il tifo? E per quale squadra italiana?

-Quest'anno, e sottolineo quest'anno, tifo per il West Bromwich Albion Football Club, del nostro Roberto Di Matteo. Perchè lui è un uomo che ha fatto la gavetta. Da una vita fa la gavetta. L'ha fatta da giocatore, scalando categorie e ruoli; e la sta facendo da allenatore. Il West Bromwich l'ha portato sù, nella serie A inglese, prendendolo dal basso. Lui è uno che lavora, che si sacrifica, che ci mette passione, testa, vita. Queste persone mi hanno sempre affascinato: a me piacciono i combattenti, i coraggiosi. Mi piace seguire quelli che non sono raccomandati, che devono sudare ogni cosa che fanno, che vogliono un paese meritocratico che li premi, e non basato su maneggi, amicizie, affari strani. Perchè anch'io sono così. Quest'anno, di squadre italiane, invece, me ne piacciono un sacco: la Sampdoria mi piace, seguo il Palermo, ma pure il Cagliari. Sai perchè dico "quest'anno"? Perchè ho una strana, e tutta mia, idea del tifo: ogni anno, secondo me, uno può tifare una squadra diversa, a seconda di tanti fattori emotivi personali...... Ma non sto a spiegarti questa cosa adesso, magari ci scrivo un libro. Scherzo.

Quali sono a questo punto le differenza tra il tifo ed il tifoso inglese ed il tifo ed il tifoso medio italiano?

-Se uno, appassionato di calcio italiano nella maniera più pura, legge la "Tribù del calcio" di Morris, in cui viene descritto nel dettaglio il tifoso inglese, non può che rimanerne ammaliato, incantato, sedotto, e ci si può ritrovare benissimo.

Come fanno a Londra a convivere così tante squadre di calcio secondo te? Non c'è il rischio di uno "scontro culturale"? In Italia sarebbe possibile una cosa del genere?

-In Italia, no. Hai ragione, ma piùche scontro culturale, come diceva Pier Paolo Pasolini, in Italia tra due persone, uno che guarda solo il Milan, e l'altro che segue solo la Lazio, non c'è proprio niene in comune. Il primo libro che ho scritto si chiama "L'insostenibile leggerezza di Effenberg", e c'era Alviero Chiorri che tesseva le fila del discorso, dal primo all'ultimo capitolo: beh, lui, che dall'Italia è scappato, e quindi ha una visione dall'alto delle cose, mi ha raccontato tante curiosità, proprio su questa differenza, tra tifosi della Sampdoria e tifosi della Cremonese, che poi rapportate al modo di come viene vissuto il calcio a Cuba, tutti noi sembriamo dei marziani. In Italia, siamo così. Viviamo il calcio da marziani, ma ci piace da matti.

Perché secondo te tanti italiani oggi giocano oppure allenano fuori dall'Italia ed in particolare in Inghilterra? Vialli e Zola hanno fatto in un certo senso scuola.

-L'estate scorsa, dopo che Ancelotti era uscito dalla Champions e Capello era andato male con l'Inghilterra, tutti i giornali inglese per mesi hanno titolato: Italian, just a fashion. Per dire che i nostri espatriati, lì da loro, era solo un fenomeno di passaggio, e che presto se ne sarebbero dovuti tornare a casa, con le pive nel sacco, visti gli scarsi risultati. Invece, resistiamo ancora. Loro, gli inglese, forse ci vorrebbero far fuori, ma non ce la fanno. Noi siamo attratti dalle loro squadre, e non solo per soldi andiamo lì ad allenare o a giocare, ma proprio per una mentalità più fredda, cinica e distaccata, che ci porta ad entrare nelle partite di pallone senza i fronzoli del tifo all'italiana. Vialli e Zola, sì, hanno fatto scuola. Loro lo hanno capito prima degli altri.

In cosa deve migliorare il calcio italiano per assomigliare al calcio inglese?

-Ho letto una rivista, di recente. Si chiama "Fever Pitch", è fatta molto bene, da ragazzi in gamba, preparati e svelti. Nel numero scorso si fanno dei confronti, sul piano tecnico, tra squadre inglesi: beh, in tanti casi sembrava di vedere una italianizzazione del calcio inglese, più che il contrario.

In un libro come "Febbre a 90°" è palpabile la passione del tifoso inglese per il calcio come non mai. Come si è evoluto secondo te negli anni il tifoso inglese e quanto quel libro è attuale oggi?

-Per me è attuale sempre. Il tifoso alla Nick Hornby si trova ovunque, ed è sempre il più bello. Quello che mette la partita di calcio davanti a tutto, fa molto simpatìa. Quello che organizza la settimana, in base alla partita, mi ha sempre fatto tanta tenerezza, e simpatizzo con lui.

Potresti lasciare un messaggio ai nostri lettori?

-Il calcio deve essere una metafora della vita, un modo per parlare di altro e di tutto, una maniera come un'altra per sognare, per volare con testa, per fantasticare: in maniera intellettuale, è ancora meglio. Come diceva Jorge Valdano: "vorrei che quelli che mi hanno insegnato a sognare sapessero che non ho ancora smesso di farlo".

Intervista di Maurizio Mazzarella

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